Articolo di Antonina Orlando
INCONTRI D’AUTORE
Lo scrittore ALBINO
AGUS
e i suoi due
libri
Il
tralcio staccato
e
Is
contusu de s’arrollieddu
(I
racconti del crocchio)
Il 25 Gennaio scorso, in via Reiss Romoli 45, ha avuto luogo “Incontri d’autore”, manifestazione culturale organizzata e realizzata dall’Associazione “Nosu Impari” di Torino.
Luisa Pisano, Marcello Pisano e
Rebecca Melis hanno presentato i due ultimi libri di Albino Agus: “Il tralcio staccato” e “I racconti del crocchio”, alcuni brani dei
quali sono stati letti da Rebecca Melis.
Il
pubblico è stato subito coinvolto e
molti si sono emozionati ricordando, attraverso la parola dello scrittore e dei
conduttori, momenti di esperienze trascorse. Il commento di alcuni passi
salienti di entrambe le opere, infatti, ha dato modo di rievocare tradizioni,
stili di vita, chiaroscuri e interrogativi di una terra sempre viva nel cuore
dei figli lontani, perché bella e ben radicata nella sua storia e nella sua
identità.
“Io,” – dice lo scrittore – “come
chi va via, mi sono innamorato della Sardegna, quando ero fuori dalla
Sardegna”; “Chi è ancora in Sardegna e va a lavorare nei campi con la zappa che
sprigiona scintille sulla pietra, vede il mare come il muro di una prigione. La
nave che passa è la speranza di un’occasione”, ma dopo la partenza si riconosce
la bellezza della propria terra, dove le nuove abitudini acquisite impediscono
di ritornare a vivere.
Ricordando alcuni degli episodi
della sua vita, svoltisi a Villaputzu ed esposti nell’autobiografia “Il tralcio
staccato”, Agus ha lasciato spazio a riflessioni e dibattiti su problematiche
sempre attuali:
- La
condizione della donna “serva”, descritta nell’infanzia tormentata di una
bambina rimasta orfana a undici anni, diventata di colpo la mamma dei fratelli
e responsabile dell’organizzazione della
casa; sempre attenta a non permettersi un attimo di distrazione e di riposo,
per non incorrere nelle ire del padre. Un padre, capace di portare via, ad
insaputa della figlia, il gruzzoletto di soldi che lei, scegliendo di lavorare
in casa d’altri, faticosamente aveva potuto mettere da parte per la “dote”. Il
“Padre padrone” di Gavino Ledda, ancora presente, purtroppo, in molte famiglie,
e non solo sarde – ha ricordato qualcuno del pubblico.
- Il
bambino del romanzo (alias Albino), fortemente desideroso di qualche
manifestazione d’affetto da parte della mamma, esacerbata dalla durezza della
vita e completamente assorbita dai lavori quotidiani, come molti genitori, trascinati
lontano dai figli dai ritmi e dalle esigenze della società “progredita”.
- L’educazione
spartana e inflessibile impartita ai bambini, confrontata con il permissivismo esagerato
che oggi talora si riscontra. Questo non è sempre frutto di scelte pedagogiche,
ma, molte volte, di necessità contingenti, legate alle problematiche degli
adulti.
- Il perdono. “Nel perdono c’è una pace
interiore che non si può neanche descrivere … una ricchezza interna che non si
può spiegare … non è facile”, dice Agus. Il rancore che tormenta l’animo del
giovane figlio, invano desideroso di segni tangibili d’affetto, si tramuta col
tempo nel dolce e rasserenante perdono dell’adulto che ha riconosciuto l’amore
naturale e profondo nel cuore della madre, plasmata dalla mentalità del paese e
dal vissuto doloroso.
Vita rassicurante e appagante quella
emersa dalla presentazione de “I
racconti del crocchio”.
Il
pubblico ha avuto modo di apprezzare
o di rivivere i momenti di socialità dei “crocchi”, in cui spontaneamente per
strada, in piazza, sulla soglia di casa, si riunivano i compaesani. Nei crocchi
ci si raccontava di sé, degli altri, dei fatti del paese, ci si lamentava, si
rideva e si scherzava, senza conoscere gli spasmi di una società frenetica,
caratterizzata da individui soli fra potenti strumenti di comunicazione
virtuale e social networks.
“Che fine ha fatto il crocchio?”
“Il crocchio è morto!”
“E chi l’ha ucciso!”
“La televisione!”
“La televisione?”
“Sì comare, la televisione ha ucciso il
crocchio!”
Questo
l’incipit del racconto “Il crocchio”.
Altro
notevole tema dell’incontro: il dialetto.
“Quando io ero bambino” – dice Agus
– “si andava a scuola per imparare l’italiano, come oggi si va a scuola per
imparare le lingue”.
Ormai,
invece, si tende a non parlare più in dialetto. Per lo scrittore, il dialetto è
la carta di identità di un popolo e ha il valore affettivo e identitario proprio
della lingua con cui ognuno di noi impara a relazionarsi con l’altro. Perciò, egli
scrive I racconti del crocchio in
“serrabese”, il suo dialetto caratteristico derivato dall’arabo, avendo
l’avvertenza, però, di renderli accessibili a qualsiasi lettore, con il corredo
della traduzione a fronte.
A conclusione dell’incontro,
interessante e stimolante, Luisa Pisano ha ringraziato Albino Agus. Un pensiero
riconoscente è stato rivolto, inoltre, a tutti gli scrittori che hanno il
merito di arricchire lo spirito di chi li legge, anche con il racconto di
storie personali. In esse, infatti, il lettore ritrova spesso qualche aspetto
del proprio vissuto.